IL LIBRO. Presentato a Palazzo Forti il volume di Monia Marchetto voluto dal governo indiano. Nuova biografia a cent'anni dal Nobel e a 150 dalla sua nascita Rapporto alla pari con Gandhi e rispetto reciproco nella diversità
«Fu il grande poeta delle piccole cose e che aprì col suo genio porte universali». Gian Giuseppe Filippi Ordinario di lingua e letteratura hindi all'Università Ca' Foscari di Venezia ha così introdotto la figura poliedrica di Rabindranath Tagore nella conferenza di presentazione del libro Tagore. Sommo poeta dell'india moderna, a cura di Monia Marchetto (Vais editore, 14 euro). Voluta dal governo indiano, la pubblicazione esce a 150 anni dalla nascita del poeta, avvenuta a Calcutta (ora Kolkata) nel 1861, e nel centenario dell'assegnazione del Premio Nobel per la letteratura che Tagore ha ricevuto nel 1913. All'incontro, svoltosi a Palazzo Forti, Sanjay Kumar Verma, console generale dell'India a Milano, ha ricordato Tagore come «un uomo di carità e di pace». Il libro presenta il poeta attraverso l'esperienza familiare e umana del personaggio, amico fraterno di Gandhi, ma anche assai diverso da lui, non condividendo il nazionalismo del Mahatma. «Da questo libro emerge un ritratto a tutto tondo di Tagore che fu poeta, musicista, drammaturgo, educatore, appassionato di danza, pensatore politico», ha detto Rosario Russo, presidente della commissione cultura del Comune di Verona. «Portavoce del popolo indiano, Tagore fonde la tradizione bengalese con il pensiero moderno in una visione esistenziale universale che si nutre di bellezza e meditazione. La sua forte visione del concetto di indipendenza nasce da un moto di liberazione dell'essere umano e dal suo rapporto col trascendente». «Il libro», ha detto Filippi, «è nato proprio in occasione delle ricorrenze che ruotano attorno a Tagore in un periodo felice che lo riporta in auge». Dopo aver tratteggiato il ritratto umano e artistico del poeta, Filippi ha quindi ripercorso le fasi della committenza della biografia da parte del governo indiano, «che ha convogliato la richiesta al consolato di Milano ed è rimasto entusiasta del risultato». «Su Tagore è stato scritto molto», ha continuato Filippi, «lo dimostra la folta bibliografia che abbiamo pubblicato nel libro: cose buone e altre elegiache o accademiche. Il nostro intento era invece di offrire al lettore un Tagore che riassumesse un ambiente, il Bengala, terra piena di fiumi, canneti, selve, delta. Un territorio in cui la popolazione ha saputo creare una particolare visione della vita che si basa sulla sintesi del pensiero che diventa immagine poetica». Partendo dalla famiglia di Tagore, già presente negli annali indiani dal 1500, benestante, di grandi latifondisti e in cui i componenti erano tutti colti, comprese le donne, Filippi ha inoltre parlato del legame tra Tagore e Gandhi: «Il loro rapporto non era di maestro e discepolo ma alla pari, tra due grandi. Erano empatici ma non omologhi. Tagore poco sopportava l'idea di una politica attiva mentre Gandhi sì, eppure si cercavano sempre e si consultavano. Gandhi inoltre aveva un'attrazione per le masse, mentre Tagore prediligeva restare solo e ritirarsi nella solitudine della natura. Il suo era un isolamento creativo, non statico, che gli derivava dall'infanzia trascorsa chiuso in casa. Solo a 14 anni iniziò a viaggiare quando i genitori lo portarono a vedere l'Himalaya, il Gange e le foreste secolari, dei quali fu rapito».
Michela Pezzani
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