fiori che cadono

lunedì 20 dicembre 2010

Piccolo fiore


Non mi chiedere il perché
Piccolo Fiore
non saprei risponderti.
Non è facile spiegare
l'odore dell'erba tagliata
il profumo della primavera
e nemmeno il tuo
Piccolo Fiore.

Sarebbe come definire
la forma dell'acqua
o quella delle nuvole
raccontare una favola
ancora da scrivere
il volo di un uccello
nella notte senza luna
un sorriso che deve
ancora nascere...
Paolo Carbonaio

sabato 18 dicembre 2010

Consiglio cinese


E' bellissimo.... però per leggere bene le parole bisogna vederlo a schermo intero.
Si clicca sul video così si va su youtube e
poi in basso a destra per vedere a schermo intero,
Buona visione

venerdì 17 dicembre 2010

La leggenda dell' abete di Natale

In un remoto villaggio di campagna, la Vigilia di Natale, un ragazzino si recò nel bosco alla ricerca di un ceppo di quercia da bruciare nel camino, come voleva la tradizione, nella notte Santa. Si attardò più del previsto e, sopraggiunta l'oscurità, non seppe ritrovare la strada per tornare a casa. Per giunta incominciò a cadere una fitta nevicata. Il ragazzo si sentì assalire dall'angoscia e pensò a come, nei mesi precedenti, aveva atteso quel Natale, che forse non avrebbe potuto festeggiare.

Nel bosco, ormai spoglio di foglie, vide un albero ancora verdeggiante e si riparò dalla neve sotto di esso: era un abete. Sopraggiunta una grande stanchezza, il piccolo si addormentò raggomitolandosi ai piedi del tronco e l'albero, intenerito, abbassò i suoi rami fino a far loro toccare il suolo in modo da formare come una capanna che proteggesse dalla neve e dal freddo il bambino.

La mattina si svegliò, sentì in lontananza le voci degli abitanti del villaggio che si erano messi alla sua ricerca e, uscito dal suo ricovero, poté con grande gioia riabbracciare i suoi compaesani. Solo allora tutti si accorsero del meraviglioso spettacolo che si presentava davanti ai loro occhi: la neve caduta nella notte, posandosi sui rami frondosi, che la piana aveva piegato fino a terra. Aveva formato dei festoni, delle decorazioni e dei cristalli che, alla luce del sole che stava sorgendo, sembravano luci sfavillanti, di uno splendore incomparabile.

In ricordo di quel fatto, l'abete venne adottato a simbolo del Natale e da allora in tutte le case viene addobbato ed illuminato, quasi per riprodurre lo spettacolo che gli abitanti del piccolo villaggio videro in quel lontano giorno. Da quello stesso giorno gli abeti nelle foreste hanno mantenuto, inoltre, la caratteristica di avere i rami pendenti

domenica 12 dicembre 2010

La leggenda della rosa di Natale

La figlia piccola di un pastore era intenta ad accudire il gregge del padre in un pascolo vicino Betlemme, quando vide degli altri pastori che camminavano speditamente verso la città. Si avvicinò e chiese loro dove andavano cosi di fretta. Gli risposero che quella notte era nato il bambino Gesù e che loro stavano andando a rendergli omaggio portandogli della frutta, miele e una colomba bianca.
La ragazzina avrebbe tanto voluto andare con i pastori per vedere il Bambino Gesù, ma non aveva niente da portare come regalo. I pastori andarono via e lei rimase da sola e triste, così triste che cadde in ginocchio piangendo. Le sue lacrime cadevano nella neve mentre guardava il cielo in quella notte così stranamente luminosa. La ragazzina non sapeva che un angelo aveva assistito alla sua disperazione. Quando abbassò gli occhi si accorse che le sue lacrime erano diventate delle bellissime rose di un colore rosa pallido. Felice, si alzò e le raccolse. Adesso aveva qualcosa da portare in dono. Partì subito verso la città e portò il mazzo di rose a Maria come dono per il figlio appena nato.
Da allora, ogni anno nel mese di dicembre fiorisce questo tipo di rosa per ricordare al mondo intero del semplice regalo fatto con amore dalla giovane figlia del pastore.
da: web


rosa di natale=pace, tranquillità

sabato 11 dicembre 2010

Nacqui muschio


Nacqui muschio.
Dove i gelo morde,
la tempesta dei verdi
era la musica silente
era il vestito sul nulla .
Ai piedi delle solitudini
conobbi il profilo delle domande
che le risposte
corteggiavano i sorrisi
di paglia e incenso .
Nacqui muschio .
Il sole mi prenderà
dopo la notte,
mi porterà sulle cime
dei baci
e ci scriveremo gli orizzonti
soltanto respirati.
Ci portermo allora
tra le assenze
e avremo il tempo ai piedi
e sarà cenere che non si alza.
Stefano Lovecchio




mercoledì 1 dicembre 2010

La leggenda dell''agrifoglio

Il pastorello si sveglia all'improvviso. In cielo v'è una luce nuova: una luce mai vista a quell'ora. Il giovane pastore si spaventa, lascia l'ovile, attraversa il bosco: è nel campo aperto, sotto una bellissima volta celeste. Dall'alto giunge il canto soave degli Angeli.
- Tanta pace non può venire che di lassù - pensa il pastorello, e sorride tranquillizzato.
Le pecorine, a sua insaputa, l'hanno seguito e lo guardano stupite.
Ecco sopraggiungere molta gente e tutti, a passi affrettati, si dirigono verso una grotta.
- Dove andate? - chiede il pastorello.
- Non lo sai? - risponde, per tutti, una giovane donna. - È nato il figlio di Dio: è sceso quaggiù per aprirci le porte del Paradiso.
Il pastorello si unisce alla comitiva: anch'egli vuole vedere il Figlio di Dio. A un tratto, si sente turbato: tutti recano un dono, soltanto lui non ha nulla da portare a Gesù. Triste e sconvolto, ritorna alle sue pecore. Non ha nulla; nemmeno un fiore; che cosa si può donare quando si così poveri?
Il ragazzo non sa che il dono più gradito a Gesù è il suo piccolo cuore buono.
Ahi! Tanti spini gli pungono i piedi nudi. Allora il pastorello si ferma, guarda in terra ed esclama meravigliato: - Oh, un arbusto ancor verde!
È una pianta di agrifoglio, dalle foglie lucide e spinose.
Il coro di Angeli sembra avvicinarsi alla terra; c'è tanta festa attorno. Come si può resistere al desiderio di correre dal Santo Bambino anche se non si ha nulla da offrire?
Ebbene, il pastorello andrà alla divina capanna; un ramo d'agrifoglio sarà il suo omaggio.
Eccolo alla grotta. Si avvicina felice e confuso al bambino sorridente che sembra aspettarlo.
Ma che cosa avviene? Le gocce di sangue delle sue mani, ferite dalle spine, si trasformano in rosse palline, che si posano sui verdi rami dell'arbusto che egli ha colto per Gesù.
Al ritorno, un'altra sorpresa attende il pastorello: nel bosco, tra le lucenti foglie dell'agrifoglio, è tutto un rosseggiare di bacche vermiglie.
Da quella notte di mistero, l'agrifoglio viene offerto, in segno di augurio, alle persone care.
Gina Marzetti Noventa

agrifoglio = prudenza

giovedì 11 novembre 2010

Leggenda della Stella Alpina

Una volta, tanto tempo fa, una montagna malata di solitudine piangeva in silenzio. Tutti la guardavano stupiti: i faggi, gli abeti, le querce, i rododendri e le pervinche. Nessuna pianta però non poteva farci niente, poiché era legata alla terra dalle radici. Così neppure un fiore sarebbe potuto sbocciare tra le sue rocce. Su dal cielo, se ne accorsero anche le stelle, quando una notte le nuvole erano volate via per giocare a rimpiattino tra i rami dei pini più alti, una di loro ebbe pietà di quel pianto e, senza speranza scese guizzando dal cielo. Scivolò tra le rocce e i crepacci della montagna, finché si posò stanca sull'orlo di un precipizio. Brrr!!!... Faceva freddo .. Era stata proprio pazza per aver lasciato la serena tranquillità del cielo! Il gelo l'avrebbe certamente uccisa... Ma, la montagna corse ai ripari, grata per quella prova d’amicizia data col cuore. Avvolse la stella con le sue mani di roccia in una morbida peluria bianca. Quindi, la strinse legandola a sé con radici tenaci… E quando l'alba spuntò, era nata la prima Stella Alpina.
da: web


stella alpina = coraggio


Quella che ho trascritto è una leggenda ma ora desidero raccontarvi una storia vera.
Questo fiore è simbolo di coraggio per via dello sprezzo del pericolo che talvolta esso richiede per essere raccolto sulle rocce.
Durante il periodo di leva mio papà raccolse una stella alpina sulle rocce del Monte Grappa e la portò in dono alla sua fidanzata che aveva solo 18 anni. Quella fidanzata è diventata mia mamma che tenne sempre quel fiore nel suo portafoglio come un bene prezioso.
Quando mia mamma ci ha lasciato, all’età di 95 anni, per raggiungere mio papà nel Regno dei Cieli io ho preso quella stella alpina e, dopo averla baciata, gliel’ho appuntata sulla giacca. Così ha continuato a tenere con sé quel fiore da lei gelosamente conservato per tutti quegli anni.

mercoledì 10 novembre 2010

Campanula

Uscendo dal cancello di casa, in una di queste molto dolci mattine di novembre ho visto questa piccola campanula spuntata come all'improvviso in mezzo al cemento. Mi ha colpito la sua perfezione: il calice delicato dalle tenere sfumature violette, le foglioline a forma di cuore, persino l'atteggiamento del fiore: timido ma anche deciso nel farsi osservare.
Nato come dal nulla: mi piace tanto pensare che una tale bellezza e perfezione non hanno avuto bisogno di nulla per esistere. Eppure esistono. C'è come una speranza in tutto questo...

(dal web)


campanula = sottomissione

venerdì 29 ottobre 2010

Novembre: Un mese dove processionalmente ci rechiamo a far visita ai nostri cari

Un mese dove processionalmente ci rechiamo a far visita ai nostri cari, a recitare una preghiera in più od assistere funzioni religiose al cimitero magari, “acquistando l’indulgenza”. Il ricordo dei morti è sempre stato caro, per questo la ricorrenza del 2 novembre è celebrazione di speranza e risurrezione, nella quale, in qualche modo, i nostri morti tornano nel mondo dei vivi, per ricordarci che dobbiamo tenere il piede sulla terra e il cuore nel cielo. Il loro ritorno tra i vivi avviene in un periodo dell’anno, l’autunno avanzato, nel quale anche la terra dorme e si prepara alla prossima primavera. Si potrebbe dire che la natura partecipa al nostro ricordo con la stessa nostra speranza.
Come viviamo quel giorno sacro? Come viviamo il mistero della morte? Oggi il secolarismo relativista ateo e laicista ha sminuito questa sacra festa religiosa trasformandola in squallida fiera consumistica lontana dalle nostre tradizioni cristiane, Halloween la chiamano, bambini che hanno perso la sacralità e la serietà della morte vista oggi come un carnevale. È vero che la festa è antica, qualcuno dice più del cattolicesimo, ma per i satanisti e le "streghe" halloween però non è uno scherzo.
Il 31 Ottobre è il giorno più importante dell'anno satanico - è conosciuto per essere il giorno del compleanno di lucifero - e segna anche il capodanno celtico. Era la fine dell'anno dei raccolti, marcava la transizione dall'estate all'inverno (la stagione della morte) ed è diventato il festival dell'aldilà che torna al di qua. In questo giorno, il dio Celtico Samhain (dio della morte) ha chiamato a se le anime defunte durante l'anno e le faceva reincarnare in animali destinati a vagare la terra e a tornare in visita alle loro case la notte del 31. Allo stesso tempo gli spiriti maligni erano lasciati liberi di vagare per le campagne ad infastidire i passanti e gli abitanti. Il cibo veniva lasciato in offerta sui balconi nella speranza che questi spiriti malvagi accogliessero l'offerta e passassero oltre. Il 31 Ottobre, i celti si aspettavano di essere tormentati dalle anime e dagli spiriti e demoni e non era un divertimento per loro. I druidi trascinavano la gente in cerimonie nelle quali cavalli, gatti, pecore nere, esseri umani e altre offerte erano raccolti, infilati in grandi gabbie di legno e bruciati vivi. La gente si vestiva con pelli e teste di animali e danzavano intorno al fuoco e questo veniva fatto per rabbonire Samhain e tenere lontano gli spiriti maligni. L'usanza delle maschere deriva anche dall'uso di indossare una specie di travestimento per nascondere la propria identità agli spiriti. Non è dunque chiaro che Halloween è sempre stata la celebrazione della morte? Oggi, i pochi lo sanno, ma adoratrici di satana, le così dette streghe (e non altri tipi di streghe che con robe sataniche non hanno nulla a che vedere) restano incinta appositamente per sacrificare poi il neonato in quella notte. non si parla di queste cose, perchè non fa fico e rovina la festa ma è così...e questo è solo UNO degli orrori di halloween.
A voi che siete in cerca della verità e del Vero vi invito alla preghiera, vi invito ad instaurare meglio il rapporto battesimale con Cristo Gesù, vi invito a conoscere meglio Dio. Se no, quale resurrezione alla nostra vita? Provate a pregare per i vostri cari con questa preghiera bizantina:

Dio degli spiriti e di ogni carne, che calpestasti la morte e annientasti il diavolo e la vita al tuo mondo donasti; tu stesso o Signore, dona all'anima del tuo servo N. defunto il riposo in un luogo luminoso, in un luogo verdeggiante, in un luogo di freschezza, donde sono lontani sofferenza, dolore e gemito. Quale Dio buono e benigno perdona ogni colpa da lui commessa con parola, con opera o con la mente; poiché non v'è uomo che viva e non pecchi; giacché tu solo sei senza peccato, e la tua giustizia è giustizia nei secoli e la tua parola è verità. Poiché tu sei la risurrezione, la vita e il riposo del tuo servo N. defunto, o Cristo nostro Dio, noi ti rendiamo gloria, assieme al Padre tuo unigenito, con il santissimo buono e vivificante tuo Spirito, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Riposino in pace. Amen.
Fra Vincenzo Boschetto
da Pillola per lo spirito www.novena.it


domenica 17 ottobre 2010

Le margherite, stelle della terra

Fu in una notte come tutte le altre, ma antica di molti milioni di anni, che le stelle sparirono dalla terra, per raggiungere il cielo. Perché, come narrano storie così vecchie che si è perso il ricordo di chi le narrava, c'è stato un tempo in cui le stelle vivevano sulla terra. Erano creature timide ed aggraziate, che vivevano a gruppi, sparse un po' dovunque, tenendosi ben nascoste agli occhi degli esseri umani. In quei tempi lontani, gli uomini avevano appena cominciato a popolare il pianeta, ed erano in pochi, e tuttavia a volte sufficienti per rompere i delicati equilibri che univano gli esseri viventi di tutto il creato. Si racconta che un gruppo di stelle avesse trovato rifugio proprio qui, nella valle del Sesia, perché qui c'era tutto quello che esse amavano: grandi montagne ricoperte di foreste e rapidi torrenti ed un fiume generoso a raccoglierli, dalle fresche veloci acque azzurre, glaciali di neve in primavera, allo sciogliersi dei vicini ghiacciai, rombante di acque scure di minacce antiche quanto il tempo nei periodi delle lunghe piogge, luccicante d'oro al sole d'estate, sempre comunque in corsa più in basso, verso un altro placido fiume che scorre tra rive ridenti, pronto a ricevere il fratello più inquieto. Nelle foreste più profonde, lontane dalle abitazioni degli uomini, le stelle spingevano nei torrenti rumorosi e limpidissimi gli alberi abbattuti nelle notti di tempesta dai fulmini loro amici, e poi liberati dai rami più ingombranti dai volenterosi castori, gli animaletti dei boschi coi quali le stelle amavano giocare. Alle stelle piaceva montare a cavalcioni di quelle imbarcazioni improvvisate, e poi lasciarsi trascinare dai tronchi che veloci le trasportavano a valle, mentre esse ridevano divertite per i grandi balzi lungo i rapidi torrenti bianchi di spuma. Cantavano poi dolcemente quando arrivavano al placido fiume che correva fuori dai monti, ed esse correvano con lui, sui comodi tronchi che ancora odoravano delle foreste lontane, accompagnate dal volo solenne degli aironi e dal chiacchierio delle famiglie dei dignitosi cormorani, incontrati lungo il cammino, e poi ancora più lontano, fino ad un altro fiume ancora più grande, dove l'impatto coi gabbiani bianchi, ubriachi di onde e di vento, annunciava la vicinanza del mare. Le stelle indossavano abiti di nuvole, e decorazioni scintillanti fatte dei denti affilati dei cinghiali che popolavano numerosi le foreste che coprivano le cime delle montagne, e di altrettanto scintillanti conchiglie, che il mare, ritraendosi dopo le tempeste, lasciava loro in dono lungo le rive. Avevano lunghi capelli leggeri di un bianco dorato, che rifulgevano al sole quando il vento si divertiva a giocare con quei fili sottili, e ridenti, luminosi occhi pronti al sorriso. Tutto quel fulgore di ornamenti e di bellissime chiome pulsava ritmico all'unisono, quando le stelle cantavano le loro canzoni, scivolando lungo il fiume. Era un'incredibile spettacolo di luce, di bellezza e di gioia, carico di musica struggente. E fu proprio dalla valle del Sesia che esse sparirono. Accadde così, in una notte che sapeva di magia. IL cielo tutto blu era fermo e compatto, come in attesa. Sarebbe stata buia la notte, perché in quei tempi prima del tempo, nemmeno la luna illuminava il cielo, ma la luce era data da tutto quello splendore di stelle, che scendevano placide cantando lungo il grande fiume. Un viandante che si era perso nella foresta vide quella luce scintillante, e sentì la dolce musica misteriosa. Divorato dalla curiosità, si avvicinò alla fonte della sua meraviglia e spiò, nascosto tra i rami degli alberi che crescevano lungo la riva. Lo spettacolo era di tale bellezza che l'uomo rimase quasi accecato dalla magnificenza di quanto scorreva sul fiume. Con l'avidità che è propria della sua razza, o forse soltanto per la gioia di tenerlo tra le mani, l'uomo d'impulso uscì dal suo nascondiglio e si precipitò verso tutto quello splendore, arrivando a sfiorare una delle imbarcazioni improvvisate, che però gli scivolò tra le dita. Terrorizzate, le fragili stelle fuggirono, chiamarono a raccolta le loro sorelle sparse per tutta la terra e si rifugiarono nel cielo, per non tornare mai più. IL loro scintillio glorioso è tuttora visibile dal nostro pianeta, ma gli uomini hanno perso per sempre il fascino struggente della loro musica. Lasciarono però, gentili com'erano, qualcosa al loro posto : le innumerevoli, graziose piccole margherite (dette anche pratoline) che a primavera ricoprono i prati a migliaia, rimaste a ricordare le stelle con il loro cuore colore di sole. Anche se è a primavera che esse cominciano a fiorire, è all'inizio dell'estate che ricoprono i prati con il loro candido e dorato splendore, tanto che un antico proverbio inglese recita: "Quando puoi posare il piede su sette margherite, allora è davvero arrivata l'estate". Curiosamente, il nome inglese delle margherite è "Daisy" e forse risale, senza saperlo, all' antichissima storia che vi ho raccontato: perché Daisy sta per "the day's eye" - "l'occhio del giorno" e infatti questi fiorellini si aprono alle prime luci e ripiegano i loro petali quando il sole tramonta, come se andassero a dormire. Si dice che taluna, approfittando del buio, se ne voli a popolare il cielo, e che qualche altra, malata di nostalgia, approfittando delle stesse tenebre, torni ogni tanto a profumare la terra. Senza nemmeno saperlo e pur avendo perso il ricordo di quella leggenda lontana, anche i giovani esseri umani sono tornati a percorrere quella che un tempo era una strada di stelle, e con le agili canoe e i coloratissimi Kayak cavalcano gioiosi le limpide acque del fiume, giocando tra loro, quest'anno, una sfida che ignorano essere antica quanto il tempo.
by Rossana
da:web

sabato 9 ottobre 2010

Dolcezza

si rincorrono
per viuzze ombrose;
s’incontrano gli echi
appassionati
di voci d’uomini carnosi
fanciulli navigati d’innocenza .
Il sole resta.
Cosparso sui tetti
spiega l'ombre regine
su viottoli a pietre vive;
e come è sera quell’imbrunire
assorto tra chiome stanche
accarezzate
da un’intuizione di quiète!
Le fisarmoniche
plasmano silenzi
fra tristi mani e mani
in cerca disegnate a rughe.
Io non penso
allo slancio di stelle
oltre le stelle, vedo sfuggirmi l’anima inerme
a una dolcezza di poche cose
dove l ‘armonia, timida,
fà gli occhi pensosi,
bimbi gli uomini,
uomini i bimbi !
Stefano Lovecchio
da
ARANDO IL CAOS
" Tutti i diritti riservati "
caprifoglio = Dolcezza d'animo

venerdì 8 ottobre 2010

8 ottobre

Come dimenticare quella notte di 15 anni fa? Quindici anni sono trascorsi e sembra solo ieri.
Quella telefonata a mezzanotte, la voce di Giampaolo, il vostro medico, che mi annuncia che tu non ci sei più. Solo la mattina avevo sentito la tua voce inconfondibile ed indimenticabile che mi assicurava che tu e mamma stavate bene e come sempre mi spronavi a stare tranquilla e di non preoccuparmi per voi.
No, non poteva essere, non ci credevo o non volevo credere che non avrei più potuto sentire la tua voce.
Siamo partiti R. A. ed io come automi e tu con la tua mano ci hai guidati perché il viaggio proseguisse bene. Eravamo ammutoliti tutt’e tre ed abbiamo percorso i 600 km che ci separavano senza una parola. Ogni tanto questo silenzio veniva interrotto dalla voce di mio marito che diceva: “Mamma deve assolutamente venire subito a Roma con noi, non possiamo lasciarla sola”.
Man mano che ci avvicinavamo a casa dentro di me dicevo che era stato un brutto sogno e che saresti stato sul terrazzo di casa ad aspettarci.
Siamo arrivati, abbiamo salito quei venti gradini, non mi sono mai sembrati così tanti e pesanti, e mi sono resa conto che non era stato un brutto sogno ma la semplice realtà ti aveva portato via da noi. Giampaolo mi disse che un collasso circolatorio ti aveva stroncato in dieci minuti. La morte dei giusti, dissi io, e solo questa era la morte che dovevi fare tu perché sei sempre stato giusto con tutti; con chi si comportava bene e con chi non lo faceva. Hai aiutato sempre tutti.
Strinsi i denti e mi costrinsi a non piangere, lo dovevo fare per mamma, per mio marito e per mio figlio. Mi resi conto che dovevo prendere il tuo posto, il posto di chi doveva dare coraggio a chi non lo aveva.
Tu lo sapevi papà che volevo piangere, avrei voluto gridare ma tu mi hai aiutato a non farlo per loro, per le persone che tu ed io amavamo tanto.
Il tuo fiore preferito era la “Violetta africana” e nel linguaggio dei fiori il suo significato è: “illumina il mio cammino”, perciò da lassù ti prego papà continua ad illuminare il mio cammino che come vedi in questo periodo è molto faticoso.
Papà sei sempre e
sempre resterai
nel mio cuore.

violetta africana

domenica 3 ottobre 2010

Grazie Mamma

perché mi hai dato
la tenerezza delle tue carezze,
il bacio della buona notte,
il tuo sorriso premuroso,
la dolce tua mano che mi dà sicurezza.
Hai asciugato in segreto le mie lacrime,
hai incoraggiato i miei passi,
hai corretto i miei errori,
hai protetto il mio cammino,
hai educato il mio spirito,
con saggezza e con amore
mi hai introdotto alla vita.
E mentre vegliavi con cura su di me
trovavi il tempo
per i mille lavori di casa.
Tu non hai mai pensato
di chiedere un grazie.
Grazie mamma.
Judith Bond
da:web
acetosella = gioia. tenerezza materna

martedì 28 settembre 2010

Il nontiscordardime, messaggero d'amore.

Un tempo, in un regno prospero e felice, la giovane Daina abitava con la madre ormai vecchia in una piccola capanna dipinta di bianco, sul limitare di un campo di grano, vicino ad un ruscello che scorreva gioioso, alla quieta ombra di alberi secolari. Era bello in inverno, coi severi alberi spogli, i rami immobili contro il cielo grigio e i bruni campi silenziosi dove volavano pigramente i corvi dalle nere, lucide ali. Ed era bello in estate, sotto le fresche foglie luccicanti dove tubavano le colombe innamorate l'una dell'altra, accompagnando con il loro linguaggio d'amore il lieto scorrere del torrente d'argento. Le donne andavano a riempire di purissima acqua i loro secchi in quel luogo incantato, ed i viandanti si sedevano per riposare e parlare con Daina, flessuosa, dolce e paziente come l'animale di cui portava il nome. Ella lavorava filando alla rocca tessuti leggeri e preziosi per le ricche signore del regno e sognava, filando, i suoi sogni, il bel viso piegato sotto il peso dei lunghi capelli neri, raccolti sul capo in una treccia splendida, degna di una regina, i grandi occhi liquidi e scuri levati talvolta ad osservare fiduciosi chi voleva fermarsi a parlare con lei. Un giorno, uno dei viandanti la informò che il Nobile Signore, padrone del regno, stava visitando tutte le terre che gli appartenevano, e quindi certo sarebbe giunto anche lì. Turbata - senza nemmeno ben capirne la ragione - per la prima volta nella sua breve, placida vita, Daina corse dalla madre, per chiedere alla saggezza di lei quale mai vestito dovesse indossare per rendere omaggio al loro Signore. Quanto ai gioielli, la scelta era obbligata. Daina e la madre erano molto povere, vivevano del lavoro della fanciulla, e non possedevano che la piccola capanna bianca dove vivevano ed uno splendido gioiello, un grande zaffiro che racchiudeva in sé tutti i tenui bagliori del cielo, incastonato in una montatura degna di un re. Quello zaffiro era appartenuto ad un possente signore del regno, che in anni ormai lontani aveva amato la madre di Daina, bella allora come ora la figlia, e poi l'aveva abbandonata, lasciandole in dono la piccola e quel gioiello prezioso. La madre, sgomenta per il turbamento della figlia, pregò in silenzio perché la storia non si ripetesse, perché alla fanciulla così ignara fossero risparmiati il dolore dell'abbandono e del disinganno, le lacrime dello struggimento e della solitudine, ma ben sapendo che ogni cosa è già scritta, aiutò comunque la sua bella figlia ad acconciare i lunghi capelli neri e ad indossare un abito bianco come l'alba del mattino, fermandole sul seno il gioiello azzurro colore del cielo. Finalmente il Nobile Signore passò davanti alla piccola casa di Daina, che attendeva tremando, ma, anche se vide la graziosa capanna dipinta di bianco, la giudicò troppo piccola per prestarle attenzione e passò oltre senza badare alla bellezza di quell'angolo fatato; era estate, ma preso dai gravi pensieri del suo regno, egli non vide le lucide foglie dei grandi alberi, non udì il richiamo amoroso dei colombi innamorati, non fu attratto dal fresco gorgoglio del ruscello d'argento. Daina però non poteva tollerare il pensiero di non aver reso alcun omaggio al suo Signore. E così, in un gesto dettato da inconsapevole orgoglio, poiché anche nelle sue vene scorreva nobile sangue, e dalla delusione di un'inconfessata speranza, lanciò verso il Principe il suo prezioso gioiello di cielo. Indifferente, il Principe passò col suo cavallo là dove il gioiello era caduto, e dietro a lui gli infiniti zoccoli dei cavalli di tutto il suo seguito numeroso. E il bello zaffiro si frantumò in numerose piccole schegge di luce azzurra, che riflettevano il sole. Fu una dea pietosa che passava di lì a trasformare quelle schegge in migliaia di piccoli fiori azzurri, cui venne dato il nome di "non ti scordar di me" perché il ricordo del gesto orgoglioso e gentile della piccola Daina non andasse del tutto perduto. Edoardo VIII, nel 1936, in un secolo dunque apparentemente privo di fiabe, rinunciò al trono di Inghilterra, assumendo il titolo di duca di Windsor, gettando così ben più che un monile di zaffiro ai piedi della donna che amava. La rinuncia al trono era infatti l'unico mezzo per rendere possibili l'anno successivo le nozze con l'americana, due volte divorziata, Wallis Simpson, che, a differenza del principe della fiaba, si chinò a raccogliere il dono. IL duca volle che nel giorno delle nozze i "non ti scordar di me" decorassero a migliaia la loro abitazione, e che l'abito della sposa avesse quella particolare tonalità di chiaro azzurro che mostrano i petali del fiore sacro all'amore. La piccola Daina, dal suo mondo di fiaba, deve pur aver visto tutto questo e certamente, nella sua generosità, ne ha sorriso felice.

da web


sabato 25 settembre 2010

Speranza

nell’inseguire i tuoi Sogni,
perché c’e’ un’unica creatura che può fermarti,
e quella creatura sei tu.
Non smettere mai di credere in te stessa
e nei tuoi sogni.
Non smettere mai di cercare,
tu realizzerai sempre ogni cosa ti metterai in testa.
L’unico responsabile del tuo successo
o del tuo fallimento sei tu, ricordalo…
ogni pensiero o idea pronunciata a voce alta
viaggia nel vento,
la voce corre nell’aria, cambiandone il corso.
Se sei brava da udire abbastanza,
tu potrai ascoltare l’eco di saggezze
e conoscenze lontane nel tempo e nello spazio.
Tutto il sapere del mondo e’ a disposizione
di chiunque sia disposto
a credere e a voler ascoltare.
La libertà e’ una scelta che soltanto tu puoi fare:
tu sei legata soltanto dalle catene delle tue paure.
Non e’ mai una vera tragedia provare e fallire,
perché prima o poi si impara, la tragedia e’
non provarci nemmeno per paura di fallire.
Mentre noi possiamo orientare
le nostre mosse verso un obiettivo comune,
ognuno di noi deve trovare la sua strada,
perché le risposte non possono essere trovate
seguendo le orme di un’altra persona….
Se tu puoi compiere grandi cose
quando gli altri credono in te,
immagina ciò che puoi raggiungere
quando sei tu a credere in te stessa.
Peter O’Connor, da "Ali sull’oceano"
Erica bianca = speranza che i sogni
e i desideri si avverino

lunedì 20 settembre 2010

20 settembre

Oggi è una giornata molto cara a me, era il tuo compleanno mamma e quello odierno sarebbe stato il 100°. Il tuo fiore preferito era la tuberosa ed in questo giorno eri invasa da questi fiori perché sia papà,io e le amiche che lo sapevano te le regalavamo. La sala era irrorata di quel profumo inconfondibile e tu eri tutta felice; eri un fiore in mezzo ai fiori.Se chiudo gli occhi ed inspiro sento ancora quel profumo, cara mamma.Sono cinque anni e mezzo che ci hai lasciato e rammento ogni momento trascorso vicino a te. Anche se lontane, 600 km ci separavano, eravamo sempre unite con il pensiero e con l’amore che unisce una mamma a sua figlia e viceversa. Abbiamo condiviso momenti belli e momenti tristi ed ogni qualvolta c’era una gioia o un dolore eravamo assieme perché correvamo una dall’altra.
Mamma sei sempre e
sempre sarai nel mio cuore!


sabato 18 settembre 2010

Fiducia = Orme sulla sabbia

Questa notte ho fatto un sogno,
ho sognato che ho camminato sulla sabbia
accompagnato dal Signore
e sullo schermo della notte erano proiettati
tutti i giorni della mia vita.
Ho guardato indietro e ho visto che
ad ogni giorno della mia vita,
apparivano due orme sulla sabbia:
una mia e una del Signore.
Così sono andato avanti, finché
tutti i miei giorni si esaurirono.
Allora mi fermai guardando indietro,
notando che in certi punti
c'era solo un'orma...
Questi posti coincidevano con i giorni
più difficili della mia vita;
i giorni di maggior angustia,
di maggiore paura e di maggior dolore.
Ho domandato, allora:
"Signore, Tu avevi detto che saresti stato con me
in tutti i giorni della mia vita,
ed io ho accettato di vivere con te,
perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti
più difficili?".
Ed il Signore rispose:
"Figlio mio, Io ti amo e ti dissi che sarei stato
con te e che non ti avrei lasciato solo
neppure per un attimo:
i giorni in cui tu hai visto solo un'orma
sulla sabbia,
sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio".
~ Margaret Fishback Powers ~

epatica=fiducia

sabato 4 settembre 2010

Primo incontro

Andammo alla gravina,
fin dove le ginestre
sguainavano l'aprile
al grigio;
e tra le righe delle spighe
all'orizzonte
scrivemmo sonetti
di corse lievitate.

Sì, che i penduli capperi
tra le muffe avvinti,
schioccavano di fianco al nulla
grappoli di gioia audace;
e tra il ginepro astante
e l'erica abbozzata
ci parve il cielo danzar
di nubi e cirri.

E il primo arcobaleno
tra le nostre labbra
fu quel color di bacio
chiudendo gli occhi;
d'alloro e timo e mirto
l'argilla ebbe desìo
e sul calcare nudo
fiorì l'amor di un rio.
Poesia tratta dalla raccolta di poesie:
" ARANDO IL CAOS "
di
Stefano Lovecchio
" Tutti i diritti riservati "

erica di Terry

mercoledì 25 agosto 2010

Mia beata e odiata solitudine



Alle volte sentivo la tua mano accarezzarmi il viso
come una mamma con il proprio figlio,
ma alle volte sentivo anche la tua mano stringermi il collo,
come un assassino con la propria vittima.

Volevo lasciarti.
La tua compagnia era troppo pesante per me.
Avevo bisogno di uno sguardo concreto
di una persona concreta e…
tu non lo eri.

Tu egoista
hai fatto di tutto perché io stessi ancora con te.
Mi hai fatto viaggiare con la musica
oltre i confini della realtà.
Mi hai fatto conoscere mondi
che non so.

Mi hai cullato su una foglia tremante d’autunno
mi hai fatto sfiorare cime innevate e respirare con il vento.
Di questo te ne sono grata…
ma ora ho bisogno di una mano concreta
e tu non ce l’hai.
da: web


erica = solitudine

venerdì 20 agosto 2010

L'indifferenza........

ricevere l'indifferenza...
Secondi, minuti, ore, giorni
in attesa di una risposta,
un sostegno importante, un sorriso...
invece niente!
Indifferenza,
che significato ha questa parola?
Non lo so, ma fa male, malissimo...
Quando conti su di una persona,
quando credi di avere sostegno da essa,
quando provi a fare qualunque cosa
per ricevere una sua minima attenzione...
poi invece tutto svanisce
nel silenzio dell' indifferenza!
Debolezze, crisi, momenti di solitudine...
dolori, sofferenze, liti...
chi non li ha!?!
Ma è proprio in questi momenti che
si ha bisogno
di una manina, di un minimo gesto!!!
Non di indifferenza... questa no!
Anonimo


bocca di leone = Indifferenza

mercoledì 18 agosto 2010

La storia del mughetto e del primo maggio

Il primo maggio del 1561, Carlo IX introdusse la tradizione d' offrire un rametto di mughetto come amuleto di porta fortuna. All' inzio del ventesimo secolo, in Francia e in particolare, nell'Ile de France, era consueto andare nei boschi per prendere un mughetto che poteva essere venduto nelle strade senza dover pagare tasse. Era un costume pagano di celebrare l'arrivo della primavera ed era consueto offrire tre rami di mughetto agli amati e a dei colleghi di lavoro (donne, ecc.) come un segno d' amicizia. La tradizione del Primo di Maggio è datata a molti anni fà. Nei tempi antichi, questa era la data in cui i navigatori uscivano in mare. Per i Celtici, era l'inizio della prima meta' dell' anno Celtico. Nel Medio Evo, era il mese dei fidanzamenti. Dal 1889, e' conosciuto come il Giorno del Lavoro. Il costume d' indossare un mughetto e' una moda che risale all' inizio de ventesimo secolo. E' sempre un periodo di celebrazione. Dal periodo del Rinascimento, il mughetto era un amuleto portafortuna associato con la celebrazione del Primo Maggio. Ma, fu soltanto all' inzio del ventesimo secolo che la sua vocazione, come il fiore del Giorno di Maggio, fu confermato come il risultato di due eventi. Il primo maggio del 1895, al cantante Mayol fu presentato un mughetto dalla sua amica Jenny Cook, e quella sera lo indosso' sull'occhiello al posto della tradizionale camelia. Nel 1900, il primo maggio, il capo delle sartine offri' ai suoi clienti e lavoratori dei mughetti.
Da web

ll mughetto simbolizza il ritorno della felicità.

lunedì 19 luglio 2010

Amicizia ritrovata

Ho ritrovato l’amica di una volta
Prima mi sono fatta una chiacchierata con il figlio G. che è stato felicissimo di sentirmi e siccome quando ci siamo lasciati mi chiamava zia mi ha chiesto tre o quattro volte se poteva continuare a chiamarmi zia nonostante gli avessi dato subito una risposta positiva. Alla fine mi ha fatto piangere.
Mi ha raccontato che la mamma nel 2001 ha avuto una paresi a tutta la parte destra ed è rimasta danneggiata in modo irreversibile perciò costretta su una sedia a rotelle. Quando questo le è successo aveva solo 58 anni. G. che ha più di quarant’anni, ha dovuto cambiare radicalmente stile di vita. Da ragazzo con la mamma autosufficiente, piena di vita e tanto esuberante si è trovato solo ad accudirla in queste condizione.
Però grazie a lui i genitori, ci ha raccontato giustamente con orgoglio, si sono riavvicinati in modo che il padre si è dedicato completamente alla mamma, T, così lui ha potuto continuare il suo lavoro che lo portava spesso lontano da Roma.
Purtroppo i mali non vengono mai soli anche il papà si ammalò di un male incurabile al fegato e nel 2008 li ha lasciati completamente soli perché non hanno alcun parente vicino.
Certo che con la morte del padre il figlio ha dovuto cambiare radicalmente la sua vita. Il padre gli aveva ceduto il suo appartamento e G. lo stava rimettendo a posto per formarsi una sua famiglia invece dovrà venderlo per comprare quello dove abitano che è di un ente e l’hanno messo in vendita.
Di conseguenza il fidanzamento che dura da 10 anni si protrae, ha dovuto lasciare il lavoro e trovarne uno che lo tiene fisso a Roma e dedicarsi alla mamma. Naturalmente durante la settimana hanno la badante ma il sabato pomeriggio e la domenica lo dedica tutto a T.
E’ un figlio esemplare!!!!!!!!!.
Poi, con un’altra telefonata, ho parlato con T. ed ho sentito la sua solita voce esuberante ed abbiamo parlato del più e del meno. Certo è rimasta meravigliata di come io sia venuta a conoscenza di tutte queste loro peripezie ed io ho risposto che internet fa anche questi miracoli. Abbiamo parlato come due vecchie amiche che hanno sempre mantenuto i loro rapporti. Certo non è mancata qualche lacrimuccia da ambo le parti ma questo a volte succede anche quando due amiche sono sempre state vicine partecipando a gioie e dolori che si incontrano nella vita.
Mi ha raccontato della sorella che vive a Milano e che io avevo a suo tempo conosciuto. E’ vedova con un figlio fannullone che non fa altro che chiedere soldi alla mamma.
Ci siamo lasciate con la promessa di risentirci e quando ci siamo salutati G. mi ha promesso che a settembre ci incontreremo in un bar qui vicino a casa nostra perché il nostro ingresso ha ancora le barriere architettoniche.
Ora prima di trasferirmi al mare le ritelefonerò, anzi lei si è meravigliata che ancora non siamo andati. Ed abbiamo ricordato quando loro tre sono venuti a trovarci ed abbiamo trascorso una bellissima giornata con loro ed i nostri quattro genitori. La memoria non ha riportato alcun danno.
Mi domando: “sarà un bene o un male?”.
La risposta non la conosco.
gardenia = solidarietà