Alfin t'ho scorto, desiato fiore,
alfin piangente chiederti potrò
che tu lenisca il barbaro dolore
che i ridenti giorni avvelenò.
Chè tu cresci qual me: negletto e solo
vesti l'ajuole che l'algor sfiorì,
qual me, che in mezzo allo sconforto e
al duolo
trascorro solitario i mesti dì.
A te, povero Elleboro montano,
veder non lice dell'estate il sol,
non lice a me di stringer quella mano
che tanto mi fu prodiga di duol.
Ahi pazzo! troppo in alto collocai
la mia fè, la mia speme, il mio desir.
Ahi pazzo! Che in amor non ricordai
esser lungo il penar, breve il gioir.
La mia mente vacilla e l'intelletto
s'oscura; abbi tu, o fior, di me pietà,
appresta alle mie labbra il succo eletto
che nelle foglie tue celato sta.
Sanami, o almeno sulla tomba mia
schiudendoti del sol ai raggi d'or,
addita a lei, come per lei morìa
non un pazzo, ma un martire d'amor.
Pietro Gori
elleboro = pazzia
Una poesia veramente bella ed emozionante. Amo i versi scritti in tal maniera.
RispondiEliminaUn linguaggio antico ed attuale che esprime una dolce musicalità.
La foto è stupenda come tutte le altre.
:-)
Un caro saluto Gaetano.
Grazie Gaetano
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